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Commento al convegno "Le bugie della verità"
Roberto Beccantini
Adoro gli ossimori. Per questo, sono rimasto folgorato dal «titolo» del convegno di San Marino: Le bugie della verità. Vi ho partecipato anch’io, dopo un viaggio molto più lungo dei 700 chilometri tondi che mi sono macinato quel lunedì di ottobre. Molto più lungo perché non comincia in garage. Comincia nel web, attraverso il carteggio con Mirko Marcolini, un giovane Lutero che mi ha bombardato di encicliche e scomuniche, affinché mi rendessi conto che il calcio non è poi la sgangherata lotteria da paese che i suoi fedeli predicano da un secolo abbondante. A dicembre compio 57 anni: appartengo, dunque, alla vecchia generazione, cresciuta a carta e sale (il sale che Romeo Anconetani, ex presidente storico del Pisa, spargeva a piene mani contro il malocchio cinico e baro). Credo, però, di essere un tipo curioso: aperto a tutti e a tutto. Ecco la molla che mi ha spinto ad avvicinarmi al pulpito di Mirko e dei suoi «anti-papi».
È stata un’esperienza suggestiva e interessante. Il giovane Lutero pesarese sa bene di non avermi convertito, ma sa anche di avermi «eccitato». Fra le due facce della medaglia al collo del calcio, e proposte dal dibattito, arte o scienza, starò sempre con la prima. Il calcio può essere anche arte. In compenso, non sarà mai scienza. Confesso di averci appiccicato anch’io, qualche volta, l’aggettivo «esatta». La scienza, secondo me, ha un altro compito: aiutarlo. Matematica, geometria, statistica, alimentazione: tutto fa brodo. Era ora, inoltre, che si parlasse di scienza in senso buono. In troppi casi l’abbiamo abbinata al doping. Cattiva letteratura. Censurabile superficialità. La scienza non è mai negativa, se impugnata con la cautela, la competenza e la passione che gli studi agitano, o almeno dovrebbero.
In principio fu la lavagna. Il gesso, le frecce, per tradurre posizioni e spremute di schemi. Oggi c’è il computer. Guai a drammatizzarne l’impiego. Anzi. Alberto Zaccheroni ci ha illustrato l’uso che ne faceva e continua a farne anche adesso, da allenatore in attesa. Snellisce il traffico, annulla gli ingorghi, crea corsie di dati e cifre che possono raccontare il rendimento e le caratteristiche di un giocatore meglio di tanti appunti sparsi o di troppe analisi volanti. Fermo restando che del computer bisogna essere padroni, non schiavi. Come, qui e là, alcuni autorevoli interventi mi hanno fatto pensare.
Il calcio è sport conservatore. Per questo, caro il mio Lutero, dovremo sempre dividerci fra il rosario sgranato da Mandorlini, allenatore del Siena, e il diagramma di Voronoi. Certo, qualcosa si è mosso: due, tre anni fa avrei citato solo il rosario. O, in alternativa, le ampolle di acqua santa brandite da Trapattoni ai Mondiali nippo-coreani. Coraggio. Come ho spiegato al convegno, non solo il calcio sbadiglia quando sente parlare di novità ma, addirittura, sono i suoi massimi timonieri che lo vogliono così, biscardiano e populista, con l’ombra del dubbio e il dubbio dell’ombra sempre e comunque a portata di moviola. Il primo a detestare ogni slancio para-scientifico è il presidente della Fifa in persona, Joseph Blatter. Prova ne sia il travagliato iter che accompagna, da lustri, la ricerca di un congegno elettronico che faccia chiarezza sui cosiddetti gol fantasma. Chi scrive, è contro la moviola in campo. Viceversa, è favorevolissimo ai sensori capaci di certificare, in diretta, se un gol è gol o no.
Campa cavallo. La scienza in senso lato ha portato, se non altro, a fornire arbitri, assistenti e quarto uomo di auricolari in modo tale da concertare le decisioni: a volte, migliorandole; a volte, peggiorandole. E qui torno al concetto di un calcio che non potrà mai essere scienza. Molto, perché non lo vogliamo. Moltissimo, perché lo snaturerebbe. Il polo scientista si ritenga soddisfatto del modo in cui, durante la finale mondiale tra Italia e Francia, venne pizzicata la testata di Zidane a Materazzi: video più auricolare, quarto uomo-assistente-arbitro. Non sarà stato un grande passo per l’uomo, ma di sicuro lo è stato per l’umanità del football.
Ricapitolando: mai chiedersi cosa il calcio può fare per la scienza, ma domandarsi, sempre, cosa la scienza può fare per il calcio. Senza recinti e iperboli. Senza pre-venzioni e post-venzioni. Faccio un esempio terra terra. Chi gioca con un piede solo, in teoria, dovrebbe essere sacrificato sull’altare di coloro che li usano entrambi. In questo caso, che fine avrebbe fatto un ragazzo «di sinistro» come Diego Armando Maradona? È una provocazione che offro a Mirko in cambio del regalo che mi ha recapitato per posta elettronica: trascinarmi sulla via di una Damasco della quale ho spesso diffidato. Lui, i numeri, cerca di spiegarli. Io, al contrario, li do. Dov’è l’errore? La soluzione al prossimo convegno.
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