Le bugie della verità

Nota sul convegno "Le bugie della verità" - Calcio e Scienza

Felice Accame

L’analisi del rapporto fra gioco del calcio e scienza implica una premessa concernente la concezione della scienza, troppo spesso – nell’immaginario colto e men colto – confusa con un’impresa sostanzialmente irrealistica.

La scienza è un processo aperto. Dipende dall’assunzione di un particolare atteggiamento e dal modo con cui guardare alle cose. Da questo punto di vista, non è l’oggetto a determinare la scienza, ma la procedura che si adotta nei suoi confronti. Tale procedura è caratterizzata dall’assunzione di ripetibilità – sia nei confronti dell’oggetto in studio che delle eventuali operazioni che noi possiamo compiere nei suoi confronti (l’esperimento).

Nel gioco del calcio si può riscontrare ripetibilità esattamente come in qualsiasi altro oggetto di studio – sia esso un elettrone, un bisonte o il pubblico di San Siro. Ben venga, dunque, qualsiasi modello analitico che porti alla luce più elementi costitutivi del gioco.

I problemi nascono allorché si tratta di selezionare nel ripetibile il significativo. Il rischio è quello di essere sommersi da modelli analitici in concorrenza fra loro e da una quantità di dati esorbitante. Come criterio selettivo, allora, proporrei quello dell’effettiva utilizzabilità del dato da parte dell’allenatore, ovvero da parte di colui cui è demandato il compito ultimo di istruire i calciatori determinandone il comportamento durante la partita.

Per quanto concerne la natura dei modelli analitici non ci possono essere preclusioni. Siano essi il prodotto di scienze matematiche o di altre scienze hanno tutti la medesima legittimità di base. Starà alle loro applicazioni orientarne le sorti.

Nel calcio, d’altronde, assistiamo da tempo ad un processo di parcellizzazioni delle funzioni. L’allenatore è stato via via affiancato dal preparatore atletico, dal preparatore dei portieri, dagli aiutanti di campo per allenamenti di reparto, dall’analista della partita con mezzi informatici. Va da sé che questo processo di parcellizzazione rimanga aperto a nuovi specialisti, padroni di strumentazioni nuove o, almeno, mai utilizzate fino ad ora in questo contesto.

Perché ciò possa avvenire nei modi opportuni, tuttavia, sarà bene riflettere sul perché, a proposito del calcio, resistano alcuni stereotipi culturali che, impedendo di fatto l’assunzione di un atteggiamento scientifico – ad onta della cospicuità di investimenti finanziari nel settore -, ne favoriscono una percezione magico-artistica che vorrebbe lasciarlo allo stato di fenomeno sostanzialmente inanalizzabile. Credo che l’innovazione debba prendere le mosse da questa consapevolezza.